Va ricompensata la moglie che ha rinunciato alla carriera per la famiglia
Evidente il vantaggio tratto dal marito, che ha potuto dedicarsi pienamente all’attività professionale

Moglie e marito colleghi veterinari: lei però si tiene lontana dalla clinica di lui per dedicarsi alla famiglia. Allora, chiuso il matrimonio, lei ha diritto all’assegno divorzile. Decisiva la constatazione del sacrificio professionale sopportato dalla donna, spiegano i giudici (ordinanza 23083 del 26 agosto 2024 della Cassazione), sacrificio che ha consentito all’allora consorte di sviluppare appieno la propria professione e di raggiungere notevoli risultati, anche dal punto di vista economico. Chiaro il quadro tracciato tra primo e secondo grado. In sostanza, una volta ufficializzato il divorzio tra moglie e marito, dopo ben venticinque anni di matrimonio, i giudici di merito sanciscono l’obbligo dell’uomo di versare alla donna 800 euro mensili a titolo di assegno divorzile. Ciò anche, anzi soprattutto, alla luce dell’impegno familiare sostenuto esclusivamente dalla donna per tutti gli anni del matrimonio. Non a caso, viene evidenziato, ella ha ripreso la propria professione solo dopo la pronuncia di separazione dal marito. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la Cassazione. Confermato in via definitiva, difatti, il diritto della donna a percepire mensilmente un assegno divorzile di 800 euro. Ciò perché si è appurato che, all’epoca delle nozze, l’uomo, medico veterinario, aveva aperto una clinica con un collega, mentre la donna – anch’essa laureata in Veterinaria – aveva iniziato il praticantato in un ambulatorio in un’altra città ma, poi, per agevolare l’attività professionale del marito, si era trasferita, lasciando il vecchio lavoro per cercarlo, d’accordo col coniuge, in un luogo diverso dalla clinica del marito. A quel punto, però, la donna ebbe, nel giro di pochi anni, primo e secondo figlio, e da quest’ultima nascita ella decise, d’accordo col marito, di sacrificare definitivamente le proprie aspirazioni professionali per dedicarsi alla famiglia, contribuendo nei venticinque anni di vita matrimoniale a soddisfarne i bisogni con il suo lavoro di casalinga e vivendo interamente mantenuta dal marito. In sostanza, la donna ha dato un contributo economico importante alla crescita professionale del marito ed al consolidamento del suo patrimonio, devolvendo i risparmi per l’acquisto dell’immobile ove è ubicata la clinica del marito e rinunciando ad incassare il pagamento dei canoni di locazione maturati per ben ventidue anni, aiutandolo così ad incrementare i suoi risparmi e nulla ricevendo in cambio. A fronte di tali fatti, l’assegno divorzile spetta alla donna non in funzione assistenziale bensì in funzione perequativa-compensativa, proprio per le scelte da lei operate durante il matrimonio, avendo sacrificato la sua attività di veterinaria – iniziata solo a seguito della separazione dal marito, come detto – per dedicarsi alla cura dei figli e quindi della famiglia, permettendo all’allora marito di incrementare l’attività di veterinario con la gestione della clinica.