Sufficienti 45 giorni di prova per mettere alla porta il dipendente
Il datore di lavoro può, in mancanza di una previsione di durata minima del periodo di prova, recedere dal rapporto di lavoro anche dopo poche settimane dall’assunzione, se in tale lasso temporale ha maturato un convincimento negativo sulle qualità professionali del dipendente.

Via libera al licenziamento “lampo” del dirigente che, secondo l’azienda, in appena quarantacinque giorni di prova non si è dimostrato all’altezza del compito. Questo il paletto fissato dai giudici (sentenza del 7 ottobre 2024 del Tribunale di Arezzo), i quali aggiungono, per fare chiarezza, che il datore di lavoro può, in mancanza di una previsione di durata minima del periodo di prova, recedere dal rapporto di lavoro anche dopo poche settimane dall’assunzione, se in tale lasso temporale ha maturato un convincimento negativo sulle qualità professionali del dipendente. Inefficaci, nella vicenda presa in esame dai giudici, le obiezioni sollevate da un dirigente – subito messo alla porta – di una società e mirate a contestare la legittimità del licenziamento irrogatogli per mancato superamento del periodo di prova appena un mese e mezzo dopo l’inizio del rapporto di lavoro. I giudici osservano, in premessa, che per definire congrua la durata del periodo di prova non è necessario rifarsi a un predeterminato lasso temporale minimo. Ciò che conta è che siano dati al lavoratore tempo e spazio per svolgere le mansioni per cui è stato assunto. Ragionando in questa ottica, i giudici pongono in evidenza un dettaglio fondamentale appurato nell’esame della vicenda oggetto del processo: il lavoratore ha interagito con le ‘funzioni chiave’ aziendali, si è rapportato con un team di vendita e ha prodotto una bozza di piano industriale. E proprio questa interazione ha consentito alla parte datoriale di recedere dal contratto di lavoro, avendo effettivamente consentito l’esperimento della prova e avendo raccolto elementi utili per valutare la professionalità del dipendente. Tirando le somme, il periodo di prova – seppur breve – espletato dal lavoratore è comunque stato idoneo a metterne in luce le capacità, palesemente non apprezzate dalla società datrice di lavoro, ma anzi valutate, nel quadro della propria discrezionalità imprenditoriale, come non corrispondenti a quelle ricercate per quella specifica figura lavorativa.