Lui perseguita lei anche con segnalazioni prive di fondamento alle forze dell’ordine: legittimi gli arresti domiciliari
Non sufficiente, secondo i giudici, l’applicazione del mero divieto di avvicinamento

Se l’uomo stalkerizza l’ex compagna, facendo ricorso a segnalazioni prive di fondamento in merito a situazioni di potenziale pericolo per il figlio affidato alla donna, allora non è sufficiente il divieto di avvicinamento ma si rende necessaria l’applicazione degli arresti domiciliari. Questa la posizione assunta dai giudici (sentenza numero 35239 del 19 settembre 2024 della Cassazione), chiamati a valutare la legittimità della misura cautelare applicata in una delicata vicenda di stalking. Per i magistrati l’aggravamento della misura cautelare è sacrosanto, poiché le dichiarazioni della persona offesa hanno trovato piena conferma nelle annotazioni di servizio degli ufficiali di Polizia giudiziaria, in cui si attesta che l’uomo aveva allertato, in più di una occasione, le forze dell’ordine, manifestando preoccupazioni per il figlio minore della coppia, preoccupazioni rivelatesi, secondo il giudice del riesame, sistematicamente false. In realtà, l’uomo ha di fatto agito al solo fine di controllare la vita dell’ex compagna e di monitorarne gli spostamenti e condizionarne lo stile di vita. Perciò, secondo i giudici, considerato che le condotte moleste e violative delle prescrizioni si sono attuate soprattutto attraverso il figlio minore e con mezzi di comunicazione a distanza, altre misure diverse dagli arresti domiciliari non potrebbero avere alcun effetto deterrente. Tirando le somme, in tema di atti persecutori, l’aggravamento della misura cautelare dal divieto di avvicinamento agli arresti domiciliari è legittimo quando le condotte dell’indagato, anche se apparentemente rivolte al figlio minore, mascherano in realtà un intento persecutorio nei confronti dell’ex partner. In sostanza, la strumentalizzazione delle questioni legate alla gestione del rapporto con il figlio per controllare la vita della persona offesa non può assumere alcun ruolo scriminante. E i divieti di comunicazione, se strettamente strumentali e proporzionati a contenere i rischi di reiterazione dei comportamenti persecutori, sono da considerarsi legittimi anche se estesi a persone diverse da quelle con cui coabita l’indagato.