La prassi aziendale non può cancellare l’irregolarità compiuta dal dipendente
Confermata la visione dell’azienda: l’inadempimento del lavoratore è tale da legittimarne il licenziamento

Sacrosanto il licenziamento anche se il comportamento contestato al lavoratore è frutto, in realtà, di una prassi tollerata dall’azienda. Questo il punto fermo fissato dai giudici (ordinanza numero 21836 del 2 agosto 2024 della Cassazione), chiamato a prendere in esame il contenzioso relativo alla cacciata di un lavoratore, inquadrato come capo negozio e addetto alla custodia e alla conservazione del denaro presente nel ‘punto vendita’, cui era stato addebitato un ammanco pari a quasi 40mila euro. All’uomo è stata addebitata, nello specifico la mancata osservanza delle procedure di cambio moneta, con particolare riferimento al mancato riversamento delle somme oggetto di cambio nelle casse del negozio con conseguenti ammanchi nella contabilità complessiva. Secondo l’azienda, ci si trova di fronte ad un inadempimento tale da pregiudicare definitivamente il vincolo fiduciario. E di questo avviso sono anche i giudici. Irrilevante l’osservazione, fatta dal lavoratore, secondo cui le direttive aziendali sul cambio moneta erano state superate da una prassi aziendale differente, tollerata, in virtù della quale le ricevute dell’avvenuto cambio a volte si tenevano in negozio e a volte si inviavano in sede e che, comunque, il detto cambio dello ‘spicciolame’ non veniva effettuato contestualmente ma appena possibile. I giudici annotano l’esistenza di disposizioni aziendali che assegnavano al responsabile del negozio il compito di riversare in azienda una somma corrispondente agli spiccioli ricevuti unitamente all’incasso del ‘punto vendita’ e rilevano che dalle testimonianze raccolte è emersa una maggiore elasticità temporale, tollerata dalla società, nella consegna. Ma tale riscontro, se pur qualificabile quale prassi e dunque quale uso aziendale (ossia una reiterazione quale espressa volontà di regolazione anche per il futuro), comunque, non assume particolare rilievo, secondo i giudici, poiché dalle testimonianze raccolte e dalla relazione del perito è emerso che, nonostante la possibile elasticità nel riversamento delle somme in questione, era risultato un ammanco finale nelle casse della società riferito a ben diciannove operazioni di cambio moneta non registrate. Tirando le somme, l’ammanco accertato, comunque addebitabile alla responsabilità del lavoratore quale ‘capo negozio’ tenuto a rispettare le disposizioni di regolarità contabile e tenuta delle scritture relative, è stato posto legittimamente alla base del licenziamento, a fronte della perdita del rapporto fiduciario da parte dell’azienda.