Danno non patrimoniale: l’esistenza del rapporto di parentela fa presumere la sofferenza del familiare
In tema di danno non patrimoniale il pregiudizio patito dai prossimi congiunti della vittima va allegato, ma può essere provato anche a mezzo di presunzioni semplici e massime di comune esperienza.
La Corte d'Appello ha deciso che il datore di lavoro è responsabile della malattia tumorale che ha causato la morte del dipendente. La società è stata condannata a pagare 40.000 euro a ciascun erede per la perdita del rapporto genitoriale a seguito del decesso.
La società datrice di lavoro ha presentato ricorso per cassazione, sostenendo che non è stata correttamente valutata la relazione causale e che mancavano prove sufficienti del danno subito dai familiari.
Il primo motivo del ricorso è stato respinto dalla Cassazione. Questa Corte ha evidenziato che, nei casi di infortuni sul lavoro e malattie professionali, il legame tra l'evento e il danno segue il principio dell'equivalenza delle condizioni. Ciò significa che anche un fattore indiretto può contribuire all'evento finale, a meno che non vi sia un fattore sufficiente a interrompere il nesso causale. Nel caso di malattie multifattoriali, è necessaria una dimostrazione precisa e concreta del nesso di causalità, basata su dati specifici e non solo su ipotesi teoriche.
La Cassazione ha confermato l'esistenza del nesso causale tra l'esposizione all'amianto sul luogo di lavoro e la malattia tumorale contratta dal dipendente, riconoscendo un ruolo concausale al tabagismo. Tuttavia, il tabagismo non è considerato sufficiente per interrompere il legame causale con l'esposizione a sostanze nocive sul posto di lavoro in un contesto di malattia multifattoriale.
Anche il secondo motivo del ricorso è stato respinto. La Corte ha chiarito che, in casi di danno non patrimoniale, il pregiudizio subito dai familiari può essere dimostrato anche tramite presunzioni di comune esperienza, considerando la relazione di parentela come un indicatore di sofferenza. Tuttavia, la parte avversa ha la possibilità di contestare questo pregiudizio affettivo.
Pertanto, la Cassazione ha respinto il ricorso con un'ordinanza datata 25 ottobre 2024.